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Natale siciliano, viandanti senza tempo in cerca di salvezza

natale sicilianoNatale siciliano, viandanti senza tempo di oggi, di ieri e di domani, in cerca di salvezza.

Persone umane, uomini, donne, bambini che scappano dalla guerra, dalla violenza, dalla povertà in cerca di un’isola felice.

La Sicilia è sempre stata lì, al centro del Mediterraneo, a poche miglia dalle coste del nord Africa; un tempo, era facile terra di conquista, di razzie e scorribande piratesche.

Un tempo era terra ricca: terra di cultura, storia, cibo e tradizioni millenarie.

Un tempo era la culla del “grande lago Mediterraneo”, luogo di incontro e di scontro di diversi popoli.

Oggi, invece è considerata solo terra di primo approdo; una volta arrivati, meglio passare oltre.

Eppure, come un tempo, qui, in Sicilia è la chiave di tutto. In questa terra ricca di persone pronte a buttarsi in mare per salvare una vita, solidali nell’accogliere chiunque, magnanimi nell’offrire il poco di cui si sentono ancora ricchi.

A questa terra, alle sue genti, alla sua anima forse altri dovrebbero guardare per ritrovare la vera essenza del Natale: l’accoglienza.

Magari con un pizzico di benevolo e bizzaro umorismo, come quello del contadino Liborio Limolì, narrato dallo scrittore Giuseppe Bonaviri nel  libro “L’incominciamento”, edito da Sellerio Editore 1983.

“…Questo contadino si burlava dei viandanti, o dei vicini abitanti di Grammichele, usando una parlata che era mistione di almeno cento lingue siciliane. Sicché nessuno poteva sapere a quale razza appartenesse. Riusciva ad ibridizzare un siculo arcaico a termini grecanici neobizantini, … o usava un francese del tempo dei Vespri fuso a barbaresco, giudeo, spagnolo e latino aperto e sonante.

Viveva dei frutti del suo podere, bravissimo com’era a far seccare su incannicciate esposte al sole fichi spaccati, pomodori aperti nel ventre sugoso (da questi, ben asciutti e spalmati d’olio, origano e pepe, si facevano le chiappiteddi), o a fare marmellate da fichidindia e da uva corniola, o moscata.

Quando sentiva fortissimamente la solitudine, nelle feste, veniva al paese, vestito da Maometto, con turbante e sassetti scintillanti legati torno torno; o da Gesù Cristo. con barba fulva, o se immaginava un Gesù vecchio, con barba bianchissima. Se altri lo imitavano, era facile vedere, ad ogni cantonata, un Cristo, e, di là, dalla opposta parte, un Maometto. Che proliferando, come zefiri per biancospini in fioritura rosa, diventavano decine di profeti, o musulmani, o diffondenti l’evangelo. “

L’accoglienza, prima ancora di essere un fatto fisico, è un’operazione primordiale del pensiero umano, un cambiamento di menti.

Natale siciliano vuol dire aprire la mente, il cuore e l’anima al prossimo. Un sorridere assieme al diverso delle sue e delle nostre diversità.

Auguri a tutti gli uomini e le donne di buona volontà che sappiano accogliere il viandante in cerca di salvezza giorno dopo giorno.

 

 

 

 

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